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giorni ad intenerirci a vicenda sulle nostre indigestioni, ed a prodigarci decotti di camomilla.

Alla vista di quella fanciulla, le mie idee coniugali si ridestarono. Era lo stomaco delle mie aspirazioni. L'apparecchio digestivo d'uno struzzo nel petto gentile d'una bella signorina di vent'anni.

Non sapevo chi fosse. Aveva l'aspetto ed il vestire d'una straniera. E la signora che l'accompagnava, piccola, grossa, col viso infiammato, ed una pioggia di ricci d'un biondo scialbo misto di grigio lungo le guancie, gli abiti corti, le scarpe di grossa pelle a doppia suola, ed un lungo velo turchino sopra un cappello ridicolo, era quanto si potesse desiderare di meno bello, ma di più touriste.

Però quella specie di pallottola, del peso di qualche tonnellata, aveva cinguettato in italiano:

— Sbrighiamoci; è l'ora del pranzo.

Aveva veramente cinguettato? Il suo accento era veramente straniero? Non avrei saputo dirlo. Avevo fissata tutta la mia attenzione sulla giovine, e queste considerazioni circa la loro nazionalità le facevo dopo, fondate sopra memorie molto vaghe.

Ad un tratto mi colpì improvvisa ed atroce come un crampo allo stomaco questa idea: