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— C’era a’ miei tempi un giovinotto che si chiamava Leonardo Valle. Non era punto nobile, ma i suoi genitori avevano ammassati quattrini assai, tenevano un andamento di casa coi fiocchi, ed il ragazzo era avvezzo a mancare soltanto del sole nei giorni di pioggia.

Teatri, serate in casa, pranzi, lezioni d’equitazione, velocipede, pattinaggio, nuoto... era una benedizione! Figurarsi il gusto che poteva trovare alle ore passate sui banchi del liceo un omettino avvezzo a quel po’ po’ di movimento. Non s’aveva che a parlargliene per venirgli in uggia e farsi dar del pedante.

Tuttavia i genitori, cui sapevano male che venisse proprio su il signor nessuno, ed avrebbero voluto udirlo chiamare il signor avvocato o il signor dottore, battevano e ribattevano il chiodo dello studio. Allora Leonardo, che aveva ormai diciotto anni, ed era dotato d’una volontà energica, accampò il Codice che gli dava diritto ad essere emancipato. Si prese il fatto suo, e fece come il podestà di Sinigaglia, e come il figliuol prodigo. Ed allora, viva l’allegria! Non c’era più nè giorno nè notte; era lui il padrone del mondo, e se gli avessero detto che quella vasta proprietà potrebbe trovarlo un giorno a borsello vuoto, e venirgli contestata, avrebbe fatto spalluccie.