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Un mattino, quando non me l’aspettavo ancora, udii rotare la carrozza dei signori. Mi feci investire dal primo soffio d’aria che passò per voltarmi da quella parte ed essere il primo a vedere la mia salvatrice.
Stava seduta in fondo alla carrozza. Era pallida e mesta.
Il mio primo sguardo fu per lei; il secondo per cercare il mio piccolo rivale biondo. Ma nè presso la signorina, nè dietro colla cameriera, mi riuscì di vedere la gabbia. Il canarino non c’era.
— Forse è morto pensai. E nella mia semplicità di fiore compiansi sinceramente il mio rivale.
Ma, nello scendere di carrozza, la vecchia zia di Dora, che faceva raccogliere dalla cameriera una catasta di scialli, mantelli, sciarpe, veli, borse ed ombrelli, si volse alla nipote, e le disse:
— E il tuo canarino, Dora?
— Ah! esclamò Dora con un atto di sorpresa incresciosa; ma fu passeggera. Riprese subito con indifferenza:
— L’ho dimenticato!
Flora e Cerere! Aveva dimenticato il canarino! Ma a che cosa pensava dunque?