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giava con loro intorno a me. Parlava di studi, d'arti, di teatri, di libri, di musica, di abbigliature.
Posava sul mio vaso la gabbia del canarino, e gli diceva molte cose graziose, molti vezzeggiativi, a cui il canarino rispondeva gorgheggiando. Allora erano grandi elogi, grandi ammirazioni pel suo canto e pe' suoi occhi innamorati; ed io ero geloso. Non de' suoi occhi, che per la bellezza non avevo nulla da invidiargli; ma dei suoi gorgheggi. Oh come avrei voluto sciogliere anch'io una canzone a quella bella fanciulla!
Nel mio dolore, le soffiavo in volto una ondata di profumo, ed allora ella si volgeva a me, e dava a me pure espansioni e lodi. Ed io pensavo:
— A lui il canto, a me l'olezzo. E non invidiavo più il canarino.
* * *
Più volte si diedero delle feste. Vennero molti bei signori dalla città. Si appesero lampioncini a tutti gli alberi del giardino. Tutte le sale furono illuminate. Udivo la musica. Vedevo traverso le finestre belle coppie di signori e dame agitarsi in tempo di danza. Ed i bicchieri tinnivano, ed echeggiavano i discorsi galanti e le risa.