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Là, umiliato ripensavo ad Icaro, che era caduto anch’esso per aver voluto salire troppo alto; e le mie povere foglioline bianche si rammollivano al sole come le sue ali di cera.
Pensavo che presto sarei morto, per rinascere chissà quando e chissà come; ed olezzavo languidamente negli ultimi sospiri la mia animuccia di fiore quando vidi due scarpine di pelle bronzata, e due calzettine azzurre tese su due gambine rotonde, che si avanzavano rapidamente verso di me, col movimento alternato di due piccoli stantuffi d’una macchina a vapore.
Feci uno sforzo straordinario per guardare più in su, ma non potei vedere che due ginocchietti color di rosa che si piegavano al mio fianco; ogni energia mi mancò e rimasi appassito.
Udii vagamente una vocina armoniosa che diceva;
— Oh! chi me l’ha gettato a terra il mio povero fiore? Il mio fiore bello che saliva fino alla mia finestra? Povero fiore! Povero fiore!
Mi sentii rialzato nella posizione verticale, e due labbruzzi come due fragole, mi sfioravano i petali susurrando ancora: