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— Il signor Ernesto Rossi aspetta in sala.
S’udì un susurrìo sommesso, poi un rumore di sedie.
Io mi allontanai in fretta dall’uscio; e quasi subito il servitore lo aprì, e vidi entrare la contessa, piccolina e pallida, che zoppicava leggermente e si reggeva al braccio del marito.
* * *
Io mi feci innanzi, stendendole la mano quant’era larga, e le dissi:
— Sono venuto un po’ presto! ma so che, aspettare e non venire è una cosa da morire, e non ho voluto farla aspettare.
Invece di rispondermi la contessa guardò suo marito tutta confusa come se non avesse capito.
Egli si mise a ridere, forse della semplicità di sua moglie, poi mi disse:
— Perdoni. Non abbiamo il bene di conoscerla...
— Ernesto Rossi, risposi. La signora mi ha scritto...
— Ernesto Rossi il tragico? interruppe guardandomi nel bianco degli occhi come se volesse cavarmeli.
— Nossignore, io non sono tragico. Ho sempre avuto un carattere mite.