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— E così? domandò una voce d’uomo.

— E così, rispose una vocina di donna, gli ho scritto, e l’ho invitato per questa sera al nostro tè.

Capii che parlavano di me, e stetti a sentire coll’orecchio all’uscio.

— È una pazzia, Emma. Un’imprudenza. Ti crederà una donna leggera, ripigliò l’uomo.

E la vocina graziosa:

— Ma che! Non è un vanerello. Tutti mi parlano di lui, del suo ingegno; io non posso andarlo a sentire, e mi struggo di curiosità. Era naturale che lo invitassi a farmi una visita. Di sera poi, in pubblico, presente mio marito, perchè spero che ti fermerai in casa... Via, che male ci trovi?

— Trovo che metti troppo entusiasmo nella tua curiosità. Questa sera sarò io che mi chiamerò Otello.

Questa mi parve curiosa che per ricevermi volesse cambiar nome anche lui. Del resto se gli piaceva di chiamarsi Otello, era un’idea come un’altra; ma non potevo a meno di ridere al pensiero delle disgrazie che gli tirerebbe addosso quel nome, più strampalato del mio Eustacchio.

In quella entrò il servitore e disse: