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— Se potesse tornare più tardi... soggiunse.

— No, no. Lasciate pure che pranzi con comodo. L’aspetterò. E mi posi a sedere in un angolo dell’anticamera dicendo:

— Quando avrà finito mi riceverà.

— Chi dovrò annunciare? domandò il servitore avviandosi per uscire.

— Ernesto Rossi.

Egli si fermò di botto, poi tornò indietro e mi disse con premura:

— Scusi. Può aspettare in sala. Favorisca.

Ed aprendo i due battenti della porta di contro, s’inchinò per lasciarmi passare in una sala tutta piena di fiori e di specchi, con un tappeto su cui si camminava senza rumore come fanno i fantasmi.

— Anche i servitori sanno il mio nome e mi ammirano, pensai; ed andai a contemplare in uno specchio la mia persona divenuta celebre.

* * *

Quello specchio era un uscio, ed era socchiuso. Dall’altro lato si udiva tratto tratto il leggerissimo tinnire d’un bicchiere, d’una posata, d’un piatto, subito represso. Doveva essere la sala da pranzo. I signori usano pranzare pian piano come se avessero paura di venir sorpresi.