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era stato altre volte un dagherrotipo che, collocato di sghembo, con un raggio di sole che lo battesse in diagonale, in un dato punto della stanza, ed in certe ore speciali, rifletteva un non so che, come un profilo intagliato nell'acciaio. Ma il tempo aveva cancellato ogni cosa; e non rimaneva che un vetro macchiato, sul quale soltanto l'entusiasmo cieco della signora Giuditta s'illudeva di vedere il ritratto del Modena, il pigionante illustre fra gli illustri, che aveva fatta la gloria della sua casa.

Quel salotto, l'affittacamere lo metteva a disposizione de' suoi pigionali; preferiva che ricevessero là che nelle loro stanze, e quand'era riescita a far gelare un visitatore in quel buco, aveva l'aria d'aver fatto una larghezza all'inquilino che aveva ricevuta la visita, e diceva: «Così vedranno che lei abita in una casa ammodo.»

Poi domandava se aveva fatto vedere a quel signore la sua galleria fotografica di pigionanti illustri. «Gli ha mostrato il ritratto della Marchionni? Del Boccomini? Del Modena?» Era la sua ambizione aver gente famosa in casa sua.

Le persone ignote per quanto buone, cordiali, e se anche pagavano meglio delle altre, non le nominava mai.

La signora Giuditta usciva così poco dal suo guscio che la vedevo di rado. Ma ogni tanto andavo a domandarne nuove. Un giorno, dopo un'assenza di parecchi mesi da Milano, entrai nella sua porta per salire a vederla.