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fanghiccio nerognolo copriva il cortile e la pioggia cadeva, cadeva.
La botte di Pietro entrò, tutta lucente dalla lunga lavatura. Il padrone ed il cavallo erano coperti da un cencio di lana inzuppato.
Pietro era vestito co' soliti abiti: stava tutto raggrinchiato, come se volesse farsi entrare le gambe e le braccia nel torso per riscaldarle. Si lasciò cadere dal carro tutto d'un pezzo, e rimase là tremando e scotendosi, colla facciona gialla così grossa che pareva ingrassato.
Il padrone gli buttò contro il secchio, e lo spinse verso l'uscio dell'osteria gridandogli:
— Muoviti, fannullone!
Rabbrividì lungamente dondolando il capo, poi s'avviò strisciando i piedi nel fango o col dorso curvato, mentre il padrone gli veniva dietro borbottando:
— E dire che ha sedici anni! Ho avuto fortuna con costui!
Quella mattina Pietro immergeva più lungamente il braccio nella rigovernatura fumante. Quel calore gli faceva bene. Ma era lento, lento: penava a muoversi, e le vene della fronte erano turgide come se stessero per iscoppiare. Nel terzo secchio trovò un pezzo di costoletta, e s'affrettò a cavar fuori la pezzuola umida ed a rinvoltarcelo dentro: ma non fece in tempo a portarlo sotto il sedile:
udì la voce del padrone che veniva fuori coll'ortolano e ricacciò la pezzuola e tutto nello sparato della camicia.