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un contadino conduceva un carro di ghiaccio. Appena arrivato buttava addosso al cavallo sudato una coperta di lana, poi saliva sul carro e cominciava a scaricare quella massa gelata, coi piedi nel ghiaccio, maneggiando con forza il badile, riscaldandosi, sudando, senza punto badare a coprirsi come aveva coperto il cavallo.

Tutti costoro lavoravano a preparare quel miserabile pranzo a due lire, ed anche a meno. Poi i camerieri, i guatteri, quanti servivano all'osteria, mangiavano gli avanzi dei poveri spostati. E gli altri tornavano alle loro case e si nutrivano d'una minestra condita col lardo, o d'un po' di polenta non condita affatto.

Al confronto, il pranzo a due lire era un banchetto da Epulone, e tutta quella gente ne raccoglieva le briciole. Ma c'era anche un Lazzaro che moriva di fame alla porta.


Verso le sette del mattino entrava nel cortile, aprendosi la via tra quell'andirivieni di provveditori, il carro d'un allevatore di maiali, colla grande botte nella quale raccoglieva la rigovernatura per ingrassare le sue bestie. Quel villano aveva un servitore, un trovatello, che sua moglie aveva preso a baliatico all'ospedale, e che s'era tenuto per mandarlo fuori a custodire i maiali. Da dieci anni faceva quel mestiere, e la mattina veniva in città col padrone, per vuotare nella botte i secchi della rigovernatura. Quand'era freddo o pioveva, il villano si rinvoltava bene