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di un ricchissimo possidente. Soltanto pochi anni prima la sua famiglia era due volte millenaria; aveva carrozza, non se ne parla nemmanco, e servitù, ed una mensa ospitale; sempre gente a pranzo, sempre invitati a villeggiare nella sua bella campagna, e per lui maestri di lingue, maestri di musica, di scherma, d'equitazione, e che bei cavalli da sella! E l'aveva goduta fino a ventun anno questa cuccagna. Poi il padre s'era messo nelle speculazioni, tutto gli era andato male, e s'era ridotto con nulla; era morto povero. Ed il figlio era venuto a Milano con cinquanta lire al mese.

Dio! se ho dovuto udirne, e farne, delle esclamazioni su quel miserrimo caso! E se n'ho ascoltate delle ammirazioni per quel giovane coraggioso, che s'accontentava di quella condizione finchè non gli capitasse di meglio! La contessa pietosa gli aveva offerta una cameruccia con pochi mobili in una sua casa che affittava ad operai, tanto per risparmiargli la spesa della pigione. Avevano scritto ad una parente di lui agiata, e l'avevano indotta a dargli ancora venti lire al mese. Facevano settanta lire in tutto, e con quelle il giovane martire riusciva a vivere; ed era sempre d'umore sereno, serbava sempre i suoi modi da gentiluomo, ed aveva tanta cura de' suoi abiti, reliquie della passata grandezza, che non isfigurava punto in società.

Ma che privazioni doveva soffrire! Non fumava, se non quando qualche conoscente gli offriva un sigaro, il dopo pranzo, perchè spesso l'