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tintinniva in grembo; le pareva d'essere arricchita, e rideva del suo riso muto e gongolante, dicendo alla sorella:
— Via! Ti posso dare molti fritti di cervello, con tutto questo.
Mio padrigno trovò modo d'impiegare quelle tremila lire al sei per cento. Ma tuttavia v'erano sempre centoventi lire all'anno di meno: il prezzo della pigione. Senz'allontanarsi dalla piazza le povere donne mutarono alloggio e presero una camera sola. Poi ripigliarono la solita vita lavorando ancora di più, mangiando ancora meno, facendo durare più a lungo le cuffie della signora Rosa, i vestiti, le scarpe; ma serbandosi sempre pulite, e nei giorni di festa portando sempre il vestito di seta nera.
Mio padrigno morì; la nostra famiglia si disperse. Io fui assente da Novara parecchi anni; quando ci tornai, di passaggio, le due zitellone erano ancora sedute ai due lati del balcone, coi due panierini ed i due lavori. La signora Rosa ricamava cogli occhiali, la signora Caterina aveva delle rughe che complicavano ancora più i rabeschi fatti dal vaiuolo sul suo volto violaceo. Si intrattenevano ancora, una del romanzo della signora Caterina, l'altra dell'avventura del fallimento.
Sempre malate, sempre miserabili, sempre laboriose, sempre rassegnate, hanno bisogno di tutte le forze, di tutto il coraggio, e di tutte le ore della loro povera vita, per mantenerla in quello