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— Ieri sera era in allegria, ha bevuto anche qualche bicchiere di marsala; chissà quando si sveglierebbe, a lasciarlo fare.
L'albergatore aveva una seconda chiave, colla quale riescì a spingere fuor dalla toppa quella che c'era di dentro, e poi ad aprire.
Entrarono nella camera. Le imposte erano chiuse, e lo sposo dormiva sempre.
— Che sonno da marmotta!, disse l'albergatore. E spalancando le imposte, fece entrare un bel raggio bianco di sole invernale che illuminò tutta la stanza.
In quella la voce del suocero esclamò:
— Per Dio! Si doveva prevederlo, che era una disgrazia!
Il giovane giaceva col capo rovesciato sui guanciali, il volto pavonazzo, gli occhi iniettati e grossi come se fossero per uscire dall'orbite, e la bocca contorta, dalla quale pendeva la lingua stretta fra i denti, ed orribilmente gonfiata. Era morto d'apoplessia.
Si fece di tutto per ingannare la Caterina. Si disse d'un telegramma, che lo aveva chiamato improvvisamente a Milano, che tornerebbe... Ma non c'era apparenza di verità. Il matrimonio sospeso, il turbamento mal dissimulato di tutti, le fecero indovinare una catastrofe, e la misero in una convulsione terribile. Piangeva, urlava, sragionava, si strappava i capelli e le vesti, voleva fuggire, voleva gettarsi dalle finestre.
Bisognò chiamare il medico, il vecchio medico