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che si trovava a Novara per la gran Messa in musica della festa di S. Gaudenzio.
Prima di ripartire per Milano, egli domandò la Caterina in isposa; e si combinarono le nozze col consenso di tutti, per la prossima Pasqua.
Durante quei mesi, lo sposo faceva frequenti gite a Novara. Non era nè molto giovane nè molto bello; aveva una persona colossale, un viso paffuto e colorito, troppo colorito. Ma era gioviale, buono, espansivo; la Caterina ne fu presto innamorata come un'eroina da romanzo. L'abito da ballo fu riposto nell'armadio, perchè il corpulento fidanzato non si sentiva bastantemente leggero per danzare, e non amava di vedere la sua bella sposa danzare cogli altri: ella non rimpianse quel piacere appena assaporato; il suo amore si compiaceva del sacrificio.
Dal dì di S. Gaudenzio, che è il 22 gennaio, alla Pasqua, corsero dieci settimane, e furono dieci visite dello sposo, dieci gioie mute e frenate per la Caterina, che lo vedeva in presenza dei suoi, gioiva e palpitava di sentirselo accanto, ma non osava aprir bocca, e lo guardava appena. La decima visita, però, doveva unirli per sempre; e lo sposo, che giunse la sera, era tripudiante, esaltato, pazzo d'amore e di felicità. La Caterina piangeva in silenzio; si sentiva tanto contenta e tanto amata, che ne era commossa.
La mattina, vestita da sposa, e pallida pel turbamento interno, era più bella che non fosse stata mai. Rimaneva muta dinanzi allo specchio,