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volte era tanto animata dalle ciarle di Marco, dalle sue dimostrazioni affettuose verso la mamma, dalle loro discussioni sulla musica, sull'esposizione di Brera, sulle mode, sulle nuove pubblicazioni, ora era silenziosa e triste. Marco mangiava poco e distrattamente, ed appena aveva finito, pigliava un giornale o un libro per aspettare il caffè, poi se ne andava nella sua camera.
Qualche volta la signora Bellazio lo pregava di accompagnarla a teatro. «Al Manzoni c'era la compagnia Pietriboni che dava una nuova commedia di Ferrari. Al Dal Verme c'era l'opera semiseria con artisti buoni...» Marco non si faceva pregare; ma rimaneva tutta la serata in fondo al palco, senza prestare la menoma attenzione allo spettacolo.
In novembre il dottor Andreoni, che andava qualche volta a passare la sera colla signora Bellazio, le disse:
— Che cos'ha Marco? Questa mane l'ho incontrato; era un po' abbattuto, e serio serio. Ha in mente ancora quella malinconia della tisi?
— No, rispose la madre. Dice che non ci pensa più; ma di certo ha cambiato carattere dopo che ha mandato a monte il matrimonio.
— Cerchi di ravvicinarlo alla sposa. Dacchè è rassicurato sulla sua salute, non c'è più ragione che rinunci a' suoi disegni. L'amore della sposa, il cambiamento di vita, l'orgasmo delle nozze, gli faranno del bene. Non mi piace quella tristezza.
La signora Bellazio ne parlò al figlio: