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assicurata. Era una commozione che lo faceva piangere, ma anche il piangere gli riesciva dolce.
Arrivò a Milano tardi. Sua madre era già a letto. S'affaccendava tutto il giorno fuori di casa, nel nuovo alloggio che avevano appigionato, per apparecchiare il quartierino degli sposi, accanto al quale s'era riservate tre stanzette per sè; e quando rientrava nella casa che stava per abbandonare, era tanto stanca che andava subito a dormire.
Marco invece era troppo eccitato quella sera per aver sonno. Aprì la cassetta della scrivania nella quale doveva riporre i documenti di famiglia che aveva riportati. Pose la sua fede di battesimo in una busta con quelle de' suoi fratelli e d'una sorella. Erano stati quattro, ed ora si trovava solo.
Mise un sospiro, che passò come un soffio lieve sul giubilo del suo cuore, poi prese una seconda busta, sulla quale era scritto di mano di sua madre: «Fedi mortuarie.»
Anche là ce n'erano parecchie, tutte piegate insieme l'una nell'altra per ordine di data. Marco aperse il piego e si pose a leggerle:
«Alberto Bellazio; morto il 20 gennaio 1873, nato il 2 febbraio 1847.»
— Aveva ventisei anni, povero Alberto, pensò Marco. Ora ne avrebbe ventotto, sarebbe già ammogliato; aveva un'amore d'infanzia colla signorina Montani.... E si figurò quella graziosa donnina giovane alle sue nozze; invece da parte sua