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ontarono in varie carrozzelle da nolo per tornare alla villa, tra Gradate e Portichetto.
Le nozze dei due giovani si dovevano celebrare il martedì prossimo a Gradate, ed era appunto la sera del giovedì, quattro giorni prima, che Marco si separava per l'ultima volta dalla sua sposa. Aveva passata quasi una settimana alla villa della vedova Nardi, che stava per diventare sua suocera, ed in quel tempo s'era fatta la richiesta al Municipio, s'erano presentate le carte necessarie, e Marco ne riportava le copie a Milano, per riporle fra i documenti di famiglia.
Salito nel vagone guardò traverso lo steccato la Maria che saliva in carrozza, svelta ed elegante; nell'oscurità della sera non vedeva che la linea della persona disegnata dal vestito chiaro. Ma l'aveva nel pensiero, nel cuore, negli occhi, e gli pareva di distinguere il viso lungo e delicato, la pelle bianca, i grandi occhi turchini ombreggiati da ciglia scure, la fronte larga e bassa, ed i bei capelli biondi che le facevano intorno una frangia di riccioli.
Non s'amavano d'un lungo amore da romanzo, non erano cugini nè amici d'infanzia. Un conoscente comune aveva detto a Marco:
— Dovresti sposare la signorina Nardi. Non è ricca, ma ha una trentina di mille lire, è semplice, colta, gentile, timida come una bambina dinanzi agli estranei, ma in famiglia è allegra, schietta e coraggiosa. E sopratutto è buona; profondamente buona.
— Non la conosco, aveva risposto Marco.