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La voce di una tragedia all'albergo del Gallo, era già corsa da un capo all'altro del paese; e il medico, che passava la serata in farmacia, si era affrettato spontaneamente, e s'avviava su per le scale, appunto quando il ragazzo scendeva in cerca di lui. Lo respinse per salire più presto, ed entrò affannato nella camera, domandando:

— Cosa c'è? Cos'è stato?

Tutti si scostarono per lasciarlo avvicinare al cadavere; ma appena egli lo vide, gridò:

— Per Dio! è troppo tardi. L'avete lasciato morire!...

— No, no! urlò Vicenzino. Senta, non può essere morto. Guardi; qui il sangue si è rappreso.

Il medico esaminò il povero giacente, gli applicò un orecchio sul petto, e rimase quasi un minuto oscultando; quando si rizzò, il suo volto non esprimeva nulla di consolante. Strinse forte il torace del paziente, lo scosse ripetutamente, poi oscultò di nuovo. Nella camera regnava un silenzio solenne. Tutti gli occhi erano fissi sul medico.

Vicenzino, che lo spiava più avidamente di tutti, appena lo vide risollevare il capo, mise un grido di gioia. Infatti il medico disse:

— C'è un battito lievissimo, irregolare, ma c'è. E subito prendendo il moribondo per le spalle, lo tirò sino alla sponda del letto, e gli abbassò il capo fin quasi in terra, poi si mise a stropicciargli forte tutto il corpo. Dopo alcuni minuti la pelle cominciò ad arrossire un pochino, e le