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E l'altro, lusingato, tirava via a raccontare come un giorno il fratello gli avesse dato ventimila lire (qualche volta diceva trenta, cinquanta) così sulle unghie; e soggiungeva, tronfio come un tacchino che fa la ruota:
— Sono passate tutte per queste mani; e ci è passato ben altro! Se ne gloriava; non provava nè riconoscenza pel fratello, nè vergogna di sè.
Si sentiva superiore a quei poveri, ed era felice.
Quando Vicenzino era stato alla vigilia d'andare alla scuola, gli aveva detto in presenza dei vicini:
— Domattina alla scuola troverai tuo cugino, il figlio di mio fratello Anselmo. Si chiama Vincenzo Dogliani come te. È il nome di nostro padre...
Vicenzino si era fatto tutto rosso. Lui, piccino com'era, non traeva vanto di quella parentela; si sentiva sulle spalle tutti i torti del padre, e l'idea di trovarsi in faccia al cugino lo faceva piangere di vergogna.
Appena entrato nella scuola aveva cercato ansiosamente di indovinare qual'era il figlio di suo zio; ma non aveva osato domandarne a nessuno.
Poi lo aveva veduto vestito da prete, e questo aumentava la sua suggezione. Quel costume eccezionale formava l'orgoglio di Vincenzo e l'ammirazione de' suoi compagni. Quei riccoli provinciali di Santhià consideravano il neo chierico come un ragazzo serbato ad alti destini.
Sapevano che aveva avuto un pro-zio arcivescovo, dal quale proveniva