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mbio, che mi richiamava immediatamente a Milano; ed arrivando a Milano colla seconda corsa, lo trovai che mi aspettava allo scalo per comunicarmi delle notizie le quali mi hanno obbligato a partire per Genova senza neppure entrare in città.
È la sorte degli uomini d'affari. Lavoriamo per la nostra famiglia e siamo costretti a viverne lontani, a trascurarla, come se non le fossimo affezionati.
Mi rincresce per la povera Evelina, che s'annoierà chissà quanto lassù a Regoledo sola. Avevo fatto il mio piano di restare con lei otto giorni, e poi di andarci due volte alla settimana per tutta l'estate; e ad un tratto sono obbligato ad abbandonarla, a mancarle di parola.
È tanto avvezza ad essere lasciata sola quando meno se lo aspetta, che non si lagnava neppure di vedermi partire improvvisamente. Ma aveva quella sua aria di rassegnazione dispettosa, che mi affligge come un rimprovero, tanto più crudele perchè sento di non meritarlo, e tuttavia capisco che lei ha ragione di farmelo; deve annoiarsi mortalmente.
M'aveva raccomandato di mandarle almeno della musica per occupare le sue giornate. Ma te l'ho detto, non ho potuto entrare in città, e non le ho mandato nulla, ed è per questo che ti scrivo.
Giacchè sei tanto vicino di casa, puoi farmi il favore di passare tu stesso alla nostra porta, di farti dare la chiave dal portinaio che ti conosce, e di salire a fare una scelta nella musica dell'Evelina e poi mandargliela per posta. Se ti fosse possibile di portargliela tu, sarebbe meglio. La piccina ci guadagnerebbe una lezione, e mia moglie una sorpresa che la distrarrebbe