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per vagare in quella vastità di deserto, sotto quegli ardori di cielo, ed essere amate a quel modo, ed inebriarsi di quel grande sogno e di quella grande disperazione.

Quel valzer era uno sfogo dell’anima, un grido d’amore irrompente come L’ Alala. Io mi sono commossa, ne ho pianto, l’ho sognato da addormentata e da sveglia, ne ho avuta la febbre. Persino i miei romanzi, che mi fanno piangere a calde lagrime, che mi tengono afflitta qualche volta una settimana intera per qualche catastrofe improbabile, avevano perduto ogni attrattiva; erano tutti freddi al confronto di quella tempesta di valzer. Allora non sapevo ancora chi sonasse.

Quando non ne potei più, ricorsi al solito mezzucci della cameriera e le domandai chi fosse il nuovo vicino che sonava tanto.

— E tanto bene, mi rispose. Se non fosse stata la mia cameriera le sarei saltata al collo per ringraziarla di quella parola, che giustificava il mio entusiasmo. Quando l’arte è di quella buona, tutti possono apprezzarla!

Però la voglia di baciare la cameriera mi passò subito quando mi disse che non sapeva nulla di quel vicino. Una cameriera che non sa gli interessi dei vicini di casa è un personaggio non riuscito, una cosa che non ottiene il suo scopo, come un romanzo che non diverte.

— Domanda un po’ chi è, le dissi coll’aria più indifferente che mi fu possibile di assumere. E lei domandò, ed il giorno dopo era informata come un questurino.

Il suonatore era un «maestro di musica» alto,