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avevano dichiarato al padre che la sua terza figliola non aveva il dono della vocazione; ed il padre aveva dovuto rassegnarsi a riprenderla in casa. Ma le aveva dichiarato che dovesse rinunciare addirittura all'idea di maritarsi, perchè lui non le darebbe neppure un soldo di dote, ed alla sua morte le lascerebbe appena seimila lire come aveva sborsato per le sorelle, e chiamerebbe erede il figlio maschio, perchè la roba sua non avesse ad andare fuori di casa.

Da allora è cominciata per la povera Mercede un'esistenza miserabile, una lotta sorda e continua, in cui il padre, a forza d'imporle privazioni, umiliazioni e fatiche, cerca di stancarla e di farla decidere ad entrare in convento per togliersi a quelle vessazioni, e lei oppone un silenzio freddo, e sopporta tutto pur di non farsi monaca.

Io, che avevo biasimato il contegno della Mercede verso suo padre, ora che conosco la sua storia ne sono commosso.

Lungo il giorno padre e figlia non si rivolgono che le parole strettamente necessarie, e da parte del farmacista sono sempre accompagnate da osservazioni pungenti. Nel somministrarle il danaro per le spese giornaliere, non manca mai di farle osservare che è un grave dispendio l'avere una ragazza da mantenere che non guadagna nulla. I lavori che fa in casa non sono considerati ed aumentano sempre; non ha serva e deve bastare a tutto.

È per evitare litigi ed umiliazioni, che la Mercede non domanda mai nulla per sè, e continua a portare quell'abito meschinissimo da collegiale. Ma è giovane, e si vergogna di quel costume ridicolo; tutte quelle contrarietà l'avviliscono; si rattrista, evita l'intimità