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Un filosofo distratto l'ha preso per un trattato di filosofia e ci ha scritto una sua massima.
— Avrei creduto che lei la giudicasse roba da bêtisier quella massima.
— Badi, mi disse con finezza, che lei sta riabilitandosi in faccia al bêtisier.
— Perchè?
— Perchè potrei scriverci questa sua risposta della quale o io o Vauvenarges potremmo domandarle soddisfazione.
— Amerei meglio che me la domandasse lei.
— Perchè non potrebbe darmela?
— No. Perchè sarebbe dirmi che l'ho offesa, supponendo che trovasse sciocca quella massima. E questo equivarrebbe a dichiarare che l'ha presa sul serio.
— Ma che! L'ho presa sul tavolino dove l'ha lasciata lei.
Ho osservato che la signora Evelina è più o meno impressionata dal discorso che s'è fatto, a seconda che è più o meno felice il motto con cui lo tronca. Quando il bisogno di tagliar corto è più urgente, butta là il primo scherzo che le viene, senza darsi tempo a pensare, per non dar tempo a me di parlare ancora.
Quella volta il motto era miserabile; l'impressione era profonda.
Infatti la mattina dopo entrò in sala per assistere alla lezione, con un'aria tutta rabbonita. La affettava un pochino però, e mi disse:
— Se l'avessi avuto sotto mano, questa mattina mi sarei messo un abito da suora di carità. - Vuol farsi monaca? - le domandai.
— No. Voglio fare la carità. Lei dice che io non