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fano nel suo gabinetto da bagno? E credevo che questo fosse un biglietto di presentazione presso di lei? Ma era un cartello di sfida, signor mio, quella vostra letteruccia pudicamente insolente. Era una provocazione quel vostro valzer melodioso; e se non ci fosse qui mio marito e quest’altra gente, ve lo getterei in faccia il vostro biglietto, signor custode del mio decoro, vi schiaffeggerei col vostro valzer sentimentale....

Mi sentii proprio schiaffeggiato, ed il mio orgoglio s’infiammò. Avrei voluto stritolarla, quella donna che aveva temuto d’amare. Mi apparve brutta in quel momento.

Avevo il cuore gonfio di fiele; fremevo sotto il peso di un insulto, e non potevo scuotermelo di dosso, non potevo domandare soddisfazione a nessuno, non potevo battermi con quella signora come avrei fatto con un uomo.

Quando il signor Malvezzi mi condusse al pianoforte, le mie mani tremavano convulsamente, non sapevo io stesso cosa sonassi. Invece di eseguire un pezzo della mia opera, scelsi La tempesta di Rubinstein. Avevo bisogno d’un pezzo mosso, rumoroso, forte, per dissimulare, per quanto era possibile, il tremito nervoso che mi scoteva tutto.

Compresi che non avevo fatta buona impressione. Gli uomini che vennero a stringermi la mano mi dicevano soltanto: "Bravo, bravo". Ma era un complimento, e non cercavano di nasconderlo.

La padrona di casa, che suo marito andò a pigliare e condusse accanto al piano, mi disse:

— Malvezzi vorrebbe sentire qualche cosa di suo. Pare che stia scrivendo un’opera....

Lei si escludeva affatto da quel desiderio. Il signor