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nella casa che aveva i balconi interni verso il mio cortile.

Fu soltanto quando si fermò al portone che ebbi un primo sussulto di paura. Ma allora era troppo tardi. Cosa poteva fare? Dovevo piantarlo là e fuggire come un pazzo?

Era una casa vasta con due grandi cortili; potevano esserci molti inquilini. Ma questo non mi rassicurò affatto. Da quel momento fui sicuro che andavo in casa della mia vicina del bagno, come fui sicuro che non potevo tornare indietro.

Il breve tempo che impiegai a traversare il primo cortile ed a salire quella scala, fu uno di quei momenti laboriosi del pensiero, come ne accadono nelle grandi agitazioni dell’animo. Di quelli che lasciano impressione d’un tempo lungo lungo, diviso in varie fasi di sorpresa, di sgomento, poi di ragionamento, di riflessione; poi del rassicurarsi, del persuadersi che infine si è perfettamente forti e che non c’è fondamento ad impaurirsi perchè poi.... ecc. ecc.

Io ricordo quei pochi momenti come una lunga ora di riflessione. Per me uno degli eccetera rassicuranti era che non avevo tentato menomamente di offendere quella signora, che non le avevo mancato di rispetto.

È vero che le avevo scritto quel biglietto, il quale, a ripensarci, mi mortificava un poco; e poi c’era stata di mezzo quella sua lettera trovata nel libro, ed il valzer; e non sapevo se il marito fosse informato di tutto codesto, o piuttosto sapevo che non lo era; che non poteva esserlo. Ma infine io non le avevo fatto la corte; ella non aveva mostrato nessuna civetteria riguardo a me. Quanto era accaduto fra noi erano semplici