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musica buona e buoni artisti. Conosce il signor Ipsilonne ed il signor Trestelle della Commissione teatrale.

Mi disse che voleva sentire qualche pezzo del Re Lear; che, se l’avesse trovato buono, l’avrebbe raccomandato, e credeva d’avere bastante influenza per farlo rappresentare alla Scala.

Ti lascio pensare in che esaltamento mi pose quella proposta.

La mia opera, la mia speranza, il lavoro delle mie ore dolorose, lo sfogo della mia anima, avrebbe risuonato finalmente in un grande teatro. Avrei potuto udirla eseguita da un’orchestra numerosa, intelligente, ben diretta. Quei gridi di passione ch’io sogno quando penso alla donna, li avrei uditi da una vera voce di donna, di soprano, d’artista; non dai tasti d’avorio del mio pianoforte.

E, guardando il pubblico in faccia, quella grande massa di esseri umani d’ogni età, d’ogni sesso, d’ogni condizione, avrei potuto vedere se fosse commosso di quanto io ho sentito, se avesse pianto delle lagrime che ho stillate in quelle note, se fosse esaltato dal mondo idealmente bello che la mia fantasia intravede. Avrei potuto sapere finalmente se è genio o delirio che agita il mio pensiero.

Non ricordo precisamente cosa risposi al signor Malvezzi. Ma fu un tale impeto di riconoscenza e di gioia che lo commosse.

— Venga a casa mia — mi disse. — Ho un buon pianoforte di Erard, e mia moglie è una pianista valente. Potrà dirle anche lei il suo parere. E potrà anche aiutarla, forse più di me. Mentre io la raccomanderò agli uomini che hanno influenza alla Scala