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e silenzioso. Passa delle ore sulla spiaggia, immobile, coll’occhio fisso nella lontananza infinita del mare.

Ha una serie di persone di servizio tutte straniere. Ve ne sono di tedesche, d’inglesi, di spagnuole; vi sono dei negri che parlano un linguaggio misto di francese e d’americano, a cui il loro accento gutturale dà un carattere barbaro.

Egli parla sempre inglese o tedesco ai ragazzi. Io stesso ho ricevuto l’ordine di non discorrere mai in italiano con loro. Essi comprendono tutte le lingue straniere che si parlano in casa, rispondono a tutte, ma non conoscono la nostra.

È un’idea fissa del marchese. Dice che appena si saranno fatti un po’ robusti dovranno viaggiare, e non vuole che facciano la figura di quei francesi e di quegli inglesi ignoranti, che girano tutto il mondo parlando unicamente la loro lingua, come se tutte le nazioni fossero obbligate ad impararla per rispondere a loro. E per avvezzare i bambini a parlare le lingue straniere, non vuole che studino l’italiana.

Così queste due povere creaturine non possono aver comunicazioni cogli altri ragazzi della loro età. Il loro grado e l’aristocrazia del padre contribuiscono ad isolarli.

I bambini dei contadini e quelli dei pochi possidenti del paese, li guardano a bocca aperta e li chiamano con riverenza i marchesini; ma non osano accostarli, nè rivolger loro la parola. Sanno che non comprenderebbero, e li considerano come esseri d’una specie differente dalla loro.

Quando li porto fuori, traversano il paese tenendosi per mano, meravigliati della meraviglia che