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sue catene di monti azzurri che si perdono all’orizzonte? E quando vedono un bel prato liscio, ampio, non sentono il bisogno di correre, di saltare, di avvoltolarsi nell’erba? Io lo sento, io che sono uomo, e che potrei essere loro padre. Non è bella la vita? Non godono di sentirsi vivere?
E così tiro via per tutta la lunga passeggiata, animandomi, esaltandomi solo, senza riescire a scuotere menomamente le mie due statuine di cera.
Figli d’un padre vecchio e d’una madre malaticcia, si direbbe che non hanno sangue nelle vene, che hanno ereditate quelle due debolezze riunite, le quali paralizzano la loro scarsa vitalità.
Hanno un’intelligenza limitatissima, non aiutata dalla volontà. La loro volontà è assolutamente nulla. Il loro babbo, che li tratta con un sussiego glaciale, li ha avvezzati a non volere, a vivere passivamente.
Non l’ho mai veduto accarezzare i suoi figli. Credo non abbia mai sorriso in tutta la sua lunga vita. Parla così poco, che potrebbe essere muto senza provarne il menomo inconveniente.
L’unica cosa che ama è il viaggiare. Cioè, non so veramente se l’ami; ma ha viaggiato molto, tutta la sua gioventù. Altre volte era ufficiale di marina. È genovese. Quando volle ammogliarsi venne in Italia, si stabilì nel suo vecchio palazzo paterno, e sposò una giovinetta del patriziato romano.
La salute della moglie, che è morta da parecchi anni, e poi la salute dei bambini a cui il medico raccomanda questo clima, gli impedirono di riprendere la sua vita nomade. Ma mi pare che s’annoi a morte in questo piccolo villaggio perduto sulla riviera, dove torreggia il suo vasto castello isolato