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le scale, non più lento e svogliato come nei giorni scorsi, ma colla leggerezza d'un uomo felice.

Avevo bisogno di rompere il gelo di quella nebbia bianca, di vedere il mondo, di guardare in faccia la gente, e dire a me stesso:

— Non sono un reprobo; non voglio rimanere isolato; ho diritto di vivere in mezzo alla società, perchè Iddio mi ha dato la più grande delle superiorità e delle potenze umane: il genio.

Mentre stavo per uscire in istrada, il portinaio mi fermò e mi diede una lettera. Ne guardai la sopra-scritta, e tutte le mie illusioni di gloria svanirono. Era dell'Eva.

Oh Leonardo! Un uomo colpevole non ha diritto di sperare neppure nell'arte, neppure nel genio. Una sola speranza gli è concessa; quella di riparare il male che ha fatto. Credevo che per la mia colpa non vi fosse espiazione. Ma l'Eva me ne ha suggerita una nella sua triste lettera. Mi prega di lasciar Milano; di partire dopo la rappresentazione del Re Lear. Me lo domanda in nome del male che ho fatto; per la pace di Massimo.

È giusto. Se si può fare qualche cosa per restituirgli la pace che gli ho tolta col mio tradimento, qualunque sacrificio mi costi, debbo farlo senza esitare.

È doloroso, Leo, sentirsi dire dalla sola donna che s'è amata con vera passione, da una donna che avrebbe sacrificato ogni altro affetto per me, per starmi vicino: "Va, perditi nel mondo. La tua scomparsa è necessaria alla pace d'un altro; scompari".

È doloroso, ma è giusto.

Sì, la obbedirò. Andrò tanto lontano che il pensiero nel seguirmi mi smarrisca per via. Andrò dove le