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la mia gioia con mille parole insensate, e le baciavo i capelli e le guancie.

È da quella sera, Augusto, che è cominciata per noi la vera luna di miele. Le nostre nozze furono quelle; silenziose e solitarie, tra la vòlta nera del cielo ed il piano nero del mare, che sembravano farsi più scuri per proteggerci contro ogni sguardo indiscreto, per isolarci. È una felicità che non credevo di questo mondo. Se avessi la scelta fra le donne che ho conosciute, sarebbe ancora ai piedi della mia dolce Mercede, che implorerei quella soavità d'amore che lei sola può darmi.

Eccoti, Angusto, la storia del mio grande sacrificio. Il mio eroismo è svanito; ma mi è rimasta in compenso la felicità d'un amore vero, di quell'amore che tu mi accusavi di non saper comprendere; perchè il tuo amore si chiama tempesta, il mio si chiama pace.

Ma non mi ha impedito di dimenticar tutto il mondo nell'ebbrezza delle sue gioie, quel placido amore; di trascurare anche te, amico, di non rispondere alle tue lettere.

Mi perdoni? Del resto ti sapevo tranquillo ed occupato del Re Lear; se tu avessi avuto bisogno di me, sarei accorso malgrado tutto.

Negli ultimi giorni della quaresima verrò a Milano per assistere alla prima rappresentazione della tua opera, al tuo trionfo, e per farti conoscere la mia Mercede, che sarà in terzo nella nostra amicizia e nel nostro patto.

Ma lei non ha bisogno di giuramenti e di propositi per far il bene e per rimaner immacolata. La sua anima è pura, e la virtù è innata nel suo cuore.