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mi parve breve. Quando aiutai mia moglie a scendere dalla barca, la sua mano mi sembrò più liscia del solito, e sospirai di non poterla baciare come un amante.

Al cancello della villa ci separammo. La Mercede andò a vedere suo padre; ed io entrai dai marchesini.

Ma quel giorno ero distratto alla lezione. Mi sentivo piccino al confronto di quella giovinetta, che in mezzo a tante uggie, a tante umiliazioni, a contrasti e dolori, aveva trovata la forza d'animo di consacrarsi allo studio, senza l'aiuto dei maestri, senza tutte le facilitazioni che alleviano agli altri le fatiche dell'istruzione. Avevo il cuore pieno d'ammirazione per lei.

Quel rammarico di non poterla amare cominciava a prendere una nuova forma nel mio modo di sentire. Desideravo di poterla abbracciare con passione, desideravo tutte le espansioni dell'amore, perchè quell'amore me lo sentivo nel cuore; perchè omai, quella povera Mercede che avevo creduto di sposare per eroismo, mi era cara più che non mi era mai stata nessuna donna; e tutto il mio cruccio era di non essere amato da lei, di dover trattarla come un amico, per non imporle delle dimostrazioni che non avrebbe potuto darmi spontaneamente.

Abbreviai la lezione. Ero impaziente di andar ad incontrare la mia sposa. Presi con me i bambini, che, più fortunati di me, le apersero le braccia appena la videro, e ne ricevettero dei baci carezzevoli, giocondi, ripetuti, come ne dànno le giovinette sui volti rosei dei bambini, forse per un'aspirazione incosciente ad altri baci più caldi.

Ci avviammo tutti verso la spiaggia, dove io e