Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/212

Ti annoierai? - le dissi nell'uscire.

Sorrise di quella supposizione, e mi rispose:

— Non mi annoio mai.

C'era tutta la storia della sua gioventù operosa, delle sue preoccupazioni opprimenti, in quella risposta. Non aveva mai avuto il tempo d'annoiarsi, senza essersi divertita mai.

Mi sentii stringere il cuore al pensiero che anch'io la richiudevo in una casetta modesta, gliene addossavo le cure, la lasciavo sola tutto il giorno, e non irradiavo la monotonia di quella; vita prosaica, cogli ardori di passione, colle follie da romanzo, che sono la felicità e l'orgoglio delle giovani spose.

Tutto il giorno ebbi quel cruccio nell'anima. Ero malcontento di me. Mi pareva che, nel separarmi il mattino dalla mia compagna, avrei dovuto stringermela al cuore, coprirla di carezze e di baci, dirle le cose più dolci ed insensate; mostrarmi desolato di quella breve separazione di poche ore, come se dovessi partire alla ricerca del polo.

Un momento ebbi l'idea di scappare a casa alla metà del giorno, di entrare senza sonare, di pigliarla in braccio, di portarla correndo per tutte le stanze e di dirle:

— Non ho potuto aspettare l'ora del pranzo per rivederti. Avevo la nostalgia di te; ho sentito un bisogno irresistibile di tornare un momento per dirti che ti amo, che sei mia, e che questa è la nostra casa.

Ma sarebbe stata una finzione. L'avevo sposata per compassione, e lei mi aveva accettato per uscire da una posizione penosa. Ed ora ci appartenevamo, era mia, perchè ci univa la legge; ma non ci amavamo.