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ringraziare la mia sposa; le ero grato di quelle poche parole strappate a' miei freddi scolari. Ci voleva la sua anima affettuosa di donna, per risvegliare un'ombra di sentimento nei loro giovani cuori. Aveva fatto più lei con un bacio, che non io con tanti mesi di ammonizioni, di discorsi, di letture.

La ringraziai con una stretta di mano; ma quasi subito parlai d'altro, perchè vidi che si commoveva; i suoi occhi chiari si velavano di lagrime Mi sentii profondamente intenerito. Avrei voluto poterla amare, povera giovane; e provavo una specie di rimorso al pensiero d'averla sposata senz'amore. Non avevo altro desiderio che di renderla felice; speravo e mi proponevo d'essere un buon marito per lei; ma non eravamo due innamorati da romanzo; non avevamo fatto pazzie l'uno per l'altra, non avevo parole appassionate da dirle, e stavo zitto, perchè temevo di affliggerla con un discorso freddo, o con parole di pietà che avrebbero potuto umiliarla. Ero così compreso dell'idea delle sue disgrazie, avevo tanto pensato all'atto di carità che facevo sposandola, che temevo di lasciarne trasparire qualche cosa.

Ed intanto sentivo una vaga tristezza impadronirsi di me. Non ero contento. Riconoscevo che la Mercede era migliore assai ch'io non l'avessi creduta, che meritava d'essere adorata; e mi crucciavo di non adorarla.

Del resto, non avevamo il tempo d'abbandonarci agli ozi beati della nostra pallida luna di miele. Sin dal mattino seguente dovetti lasciare la mia giovane sposa appena alzato, per non rientrare che all'ora del pranzo.