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Tratto tratto pensavo al nostro amore; alla gioia di ritrovarci; di essere uniti, liberi, felici; di poterci parlare a cuore aperto, di confondere le nostre esistenze. Mi provavo a dire noi, la nostra casa; associavo quel pronome plurale, che ci riassumeva in una sola personalità, a tutte le piccole abitudini che costituiscono la vita di famiglia; l'uscire il rientrare, il far compere, il pranzare, il coricarsi. Divagavo in una scena d'amore; dell'amore calmo e soave della gente libera, e poi mi irritavo di non sentirmi agitato dalla tempesta di passione, che poche settimane prima mi aveva condotto quasi alla morte. E mi eccitavo col pensiero del passato, ed allora provavo dei momenti d'ebbrezza folle.

Giunsi a Chiasso alle nove di sera. A quell'ora la vita giornaliera è finita; quei provinciali morigerati erano tutti tappati in casa. Le stradelle erano deserte e buie; appena, tratto tratto, qualche lume ad olio, fumoso tra la nebbia, stringeva il cuore, ricordando le lampade del cimitero. Il mondo non mi era mai sembrato così savio e ragionevole, come in quel contrasto con la mia posizione romanzesca.

La notte non fu allegra. Mi coricai in una stanza d'albergo, dove l'unica finestra non aveva gelosie; i mobili esalavano quell'odore di chiuso delle stanze che non sono arieggiate ogni giorno; e, sullo stipo, una madonna di cera scolorita, non aveva più occhi per piangere sopra un mozzicone di Cristo, a cui il tempo, più barbaro della Passione, aveva amputato una gamba ed il capo, sugli avanzi scrostati delle ginocchia materne.

La pioggia batteva sempre sui vetri, e mi sentivo a disagio con quel solo riparo trasparente fra me