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Tu sai che misto di forza e di debolezza componga il mio carattere. Credo di sapere all’occorrenza esser uomo; ma con te non mi vergogno a mostrare quella parte del mio essere morale in cui sono rimasto fanciullo.
Abbiamo torto di vergognarci dei piccoli difetti e delle virtù grandi che ci rimangono, di quell’età lontana in cui eravamo buoni ed indulgenti. Noi mettiamo troppo orgoglio nella forza. Penso spesso alle dolci parole di Cristo: «Lasciate venire a me i pargoletti».
Ebbene, se sarò debole come un pargoletto, se la mia virtù sarà vinta dalle passioni, Cristo, che è la sapienza e la virtù, mi stenderà le braccia, e mi perdonerà.
Ma non dar retta, ti prego, a queste ciarle. Non ho disegni sovversivi. Finora il nostro patto è saldo, la mia virtù è pura come un diamante. Sono soltanto un po’ nervoso. Scrivimi una di quelle tue buone lettere serene che mi calmano sempre. Ne ho tanto bisogno.
Augusto.
IV.
Augusto a Leonardo.
È vero; non ti posso nascondere nulla. Infatti c’era non solo la donna, ma c’era una donna in fondo alle fantasticherie, alle paure scrupolose della mia lettera. Dacchè l’hai indovinato, tanto vale che io lo confessi. Avrei anche fatto meglio a confessarlo prima; ma in realtà era una cosa senza importanza.