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quando non ci avevo veduto più abbastanza per iscrivere, e la camera era immersa nella penombra della sera. Al ridestarmi vidi un lume sullo scrittoio in faccia al mio letto; ed un uomo seduto là, coi gomiti sulla tavola ed il capo fra le mani, leggeva le carte che avevo scritte. Mi voltava le spalle, non potei conoscerlo.

Lo credetti un magistrato, che so io, un uomo del tribunale. Scesi dal letto e mi avanzai fino all'altro capo della stanza, poi mi voltai per guardarlo in faccia.

Non leggeva più, piangeva, - ed era Leonardo.

— Leo - dissi sbalordito di vederlo là in quel momento.

Si scosse, si alzò, e questa volta mi stese le braccia, ed io piansi il mio grande dolore su quel nobile cuore d'amico.

— O Augusto - mi disse, - come devi avermi trovato meschino nel mio risentimento. Mi sono appigliato ad una rappresaglia brutale ed ingiusta. Noi siamo amici, ma quando pure fossimo estranei l'uno all'altro, non vorrei nè ucciderti, nè importi il rimorso d'avermi ucciso. Sono venuto per dirti questo.

— Tu sei migliore di me - gli risposi. - Perchè quel rimorso io mi ero giurato d'importelo; mi sarei lasciato colpire, ed avrei creduto di fare un atto da amico.

— L'ho veduto dalla tua lettera. Tu dormivi; ho trovate queste carte dirette a me, e le ho lette. I nostri pensieri s'erano incontrati nel proposito di non uccidere; ma tu ti lasci ancora imporre le convenzioni del mondo; non avevi compreso che mi facevi un male assai più grande volendo ch'io troncassi la