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— Leo! - gridai. - Non insultarlo, era mio fratello!

— Che m'importa? - riprese con disprezzo. - Vorresti onorarlo perchè era tuo fratello? Vorresti imitarlo? Un uomo non ha altro titolo alla considerazione del mondo che le sue azioni; e le azioni di colui sono quelle di un vile.

A quelle parole non potei frenarmi. Vi sono momenti in cui sento risvegliarsi in me un uomo selvaggio, l'uomo primitivo da cui discendiamo, che dorme in me lunghi sonni, e nelle grandi concitazioni si desta fremente e manda un ruggito.

Mi avventai contro Leo colla mano alzata. Non so da che parte venissero, ma si trovarono presenti delle persone zelanti che mi presero per le braccia e mi allontanarono da lui. Ma mentre mi trascinavano fuori a forza, gli gridai furibondo:

— Ti ucciderò. Certi insulti si pagano colla vita.

E corsi fremente di rabbia in cerca di due amici che mi assistessero come padrini. Degradato, suicida, colpevole, mio fratello m'era caro ancora, e sentivo di doverlo vendicare.

Nella giornata assistei ai funerali di Marco, lo accompagnai fino al cimitero, lo vidi mettere sotterra, col cuore rattristato dal suo scetticismo, che in quell'immensa rovina, m'invadeva e minava la mia fede.

Quel giovane superbo, che sviscerava gli uomini e l'esistenza per dimostrarne il nulla, ora era là sepolto per i dolori di questa esistenza che disprezzava. Non aveva potuto combatterla; aveva dovuto uscirne. Era il suo scetticismo che s'era dato vinto dinanzi a quei dolori - la miseria, la vergogna - e che confessava di credere in essi? O era il disprezzo