Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/136

mio lavoro. E quando ci tornavo esaltato da un pazzo desiderio, o abbattuto da una grande delusione, la mia mente vaneggiava lontano dalle serene ispirazioni dell'arte; facevo poco e male; erano frasi convulse o fiacche; era il lavoro d'un cervello malato. Così il mio Re Lear, che vedevo e sentivo nella mia mente come una bella concezione completa e grandiosa, non procedeva punto sulla carta.

Marco mi rimproverava. Qualche volta mi diceva parole severe.

— Tu ti avvii a finir male. A questo mondo non ci sono che due vie; il lavoro assiduo ed onesto, o il disonore.

— Sei pessimista, gli dissi una volta. Tu non ti sacrifichi ad un lavoro assiduo, e non sei disonorato.

— Sì! mi rispose ridendo con un brutto sogghigno. - Specchiati in me, e ti vedrai bello.

Poi soggiunse:

— Del resto, se hai gusto a rovinarti.... nessuno è obbligato a murare il Po per i pazzi che vogliono annegarsi.

Quei modi aspri, quella volgarità di linguaggio, così contrari alle abitudini di gentiluomo che avevo sempre ammirate in mio fratello, mi sorprendevano penosamente. Mi tormentavo per indovinarne la causa.

Era sempre egualmente desiderato in società, ed i suoi interessi prosperavano. Nessun altro banchiere a Torino poteva eguagliare il lusso della sua casa e della sua vita dispendiosa.

Avrei voluto avere accanto Leo, per domandare al suo spirito giusto il segreto di quell'altro spirito tribolato; e perchè lo consolasse colla sua morale