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— Affronterò quella tempesta come questa; a fronte alta, senza impaurirmi, senza fuggire. Poi soggiungevo: Ho conosciuti dolori più grandi. E risentivo in cuore tutta l'amarezza di quello sdegno muto che allontanava l'Eva da me e mi disperava.

Ad un tratto due lampi s'incrociarono quasi sul mio capo e mi avvolsero tutto in una luce infuocata, fulminea. Nella mia disperazione ebbi un pensiero terribile:

— Se il fulmine m'incenerisse!

Lo stesso pensiero aveva traversata un'altra mente come una minaccia spaventosa. Udii un grido represso. Mi voltai, ed al guizzare ripetuto dei lampi che rischiararono un minuto ancora tutto lo spazio dinanzi al balcone, vidi il volto pallido dell'Eva inondato di pianto, ed i suoi grandi occhi neri che mi fissavano appassionatamente.

Era sola sul sedile in faccia a me, e là nascosta nelle tenebre, contemplava la mia figura che si disegnava come una macchia nera nella oscurità vuota e profonda della finestra aperta. Il lampo mi aveva rivelato il segreto ch'ella aveva voluto nascondere nel buio della notte; il segreto che il mio cuore aveva indovinato. Mi amava.

Dopo tante ansietà e tanto sconforto, quella rivelazione mi giunse inaspettata come la grazia che ferma un condannato ai piedi del patibolo. Eppure quella convinzione, in quel rapido momento mi era entrata così profondamente nel cuore, che se l'Eva stessa m'avesse detto che non mi amava, non l'avrei creduta, avrei giurato anche a lei che mentiva. La passione che avevo letta sul suo volto e nell'intensità del suo sguardo, nessuna voce umana, neppure la sua avrebbe potuto smentirla.