Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/117

occupato di me solo, invece di pensare a lei, di consigliarla, di ricordarle il suo dovere.

Mi ritirai all'albergo spossato, coll'animo pieno di proponimenti eroici, e le scrissi una lettera in cui credetti di parlarle da amico, un linguaggio severo ma spassionato e rispettoso.

Pur troppo non era che un altro modo di sragionare; non ero padrone di me. L'amarezza dell'ironia, l'insulto brutale, la gelosia mal repressa, si nascondevano male sotto l'apparenza dell'amicizia austera e della virtù. Non era un atto leale da amico; era uno sfogo insensato da amante offeso e superbo.

L'Eva si sentì oltraggiata da quella lettera. Non mi volse la parola per tutto il giorno. Ero là in casa sua, come un parassita che la padrona di casa sdegnava. Nel mio orgoglio da Satana, puoi figurarti come soffrissi di quella umiliazione. Arrossivo dinanzi ai servitori che mi vedevano sedere alla tavola a cui nessuno m'invitava.

E se prima ero rimasto per la smania gelosa di vedere e di sorvegliare, ora rimanevo come un penitente, come un mendico, per implorare un segno di perdono. Perchè avevo riconosciuto che ero stato ingiusto, che avevo calunniato quella donna che amavo.

Quello sciocco ufficiale era il fidanzato d'una sua parente; dovevano sposarsi fra poco, tutti lo sapevano. L'Eva s'era occupata di lui, unicamente per non occuparsi di me, per punirmi, con quella evidente noncuranza, della pazzia che avevo fatto la mattina, quando avevo susurrato il suo nome mentre tempestavo di baci il visino della Marichita. Tutto