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Non feci che adagiarmi meglio nella poltrona e voltarla verso l'uscio per poter cogliere il primo sguardo dell'Eva quando entrerebbe. Sentivo d'essere amato, ed il mio orizzonte s'era ristretto nei limiti di quella gioia; o piuttosto quella gioia era così vasta, infinita, imperiosa, che aveva occupato sola tutto l'orizzonte fin dove giungeva il mio pensiero. Vicino, lontano, nel presente, nell'avvenire, non vedevo che quell'amore.

Il nuovo venuto non rappresentava altro a' miei occhi che una causa per far scendere l'Eva dove ero io. Ed una volta scesa, sarebbe là per me. Mi pareva che l'altro si sarebbe ecclissato, sarebbe scomparso.

Ma l'Eva entrò, e fu come se mi avesse spinto dall'alto d'una cima che dominasse l'immensità del mondo, in un abisso buio. Non mi volse lo sguardo, non girò la testa neppure un momento verso la sedia a dondolo, dove sapeva di trovarmi perchè era il mio solito posto. Non era scesa per me.

Si fece incontro all'altro stendendo tutte e due le mani e gridando:

— Oh caro, caro tenente!. Ha smesso finalmente di fare il broncio al nostro lago!

Il caro tenente rispose che non sarebbe stato possibile non amare un luogo dove c'era una bella signora.

E lei a dubitare di quella protesta perchè non s'era mai fatto vedere in tutta l'estate.

Avviarono una conversazione animata su quel tuono di scipitaggine e di personalità, finchè giunsero gli altri invitati; dei vicini di villa; delle ragazze che sospirano un marito; delle maritate che vorrebbero non averlo; dei mariti triviali; dei giovani leggieri.