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storia d’una viola. | 233 |
Non saprei dire precisamente quanto tempo languissi nella penombra di quella prigione. Quando mi sentii mancare, mi posi a gridare invocando soccorso, e narrando le sofferenze che mi procurava quella specie di macchina pneumatica. Allora una voce gentile mi gridò:
— Abbi pazienza, Viola. Io ti vedo e ti sento e penso a liberarti.
— Grazie, — esclamai. — Ma sollecita, ti prego. Ho esaurito il poco carbonio che c’era qui dentro. Ora l’azoto e l’ossigeno mi asfissiano.
— Non posso affrettarmi quanto vorrei, — mi rispose la stessa voce. — Sono legato anch’io, e prima di muovermi debbo svincolarmi.
— Dimmi almeno il nome di questa carcere che mi rinchiude.
— Si chiama bicchiere.
— Bic....?
— chiere.
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