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della casa, e s’avviò rapidamente traverso l’orto alla siepe. La Nanna aveva indovinato. L’innamorato correva alla messa, per non destare sospetti nel marito colla sua assenza. Lei stette a guardare quel portamento baldanzoso, quel cappello sull’orecchio, finchè la grande ombra ebbe varcata la siepe. Poi si nascose il volto fra le mani, e rimase a lungo assorta nei suoi pensieri d’odio, di vendetta.

Suonò l’ultimo segno della messa.

— Che Natale, mio Dio! mormorò la Nanna. Non ho mai avuto tanto veleno nel cuore. Che cosa ho fatto per essere disprezzata, avvilita, come sono? Ma è venuta la mia volta. Li avvilirò anche loro e resterò io padrona di casa.

La campana tacque e s’udì un passo lento avanzarsi verso il cortile dalla parte del viale.

La Nanna balzò in cucina, nell’idea di impadronirsi dello zoccolo della Rosetta, e di portarlo nella sua camera per presentarlo poi la mattina alla cognata dinanzi al marito, e dirle: