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silenzi d’amore. 153

Poi vennero i discorsi musicali. La Contessa era nervosa; voleva che le opere si musicassero su libretti in prosa. La poesia era una puerilità. Perchè misurare il pensiero sopra un metro, contarci le parole, fissarci le cadenze? Questo era ufficio della musica. Ed anche essa doveva essere semplice, naturale, senz’artificio; un lungo recitativo, filato, drammatico. Lì sui due piedi, ridusse in prosa da parodia, la Celeste Aida ed il Ciel o mar! della Gioconda, e volle che Fausto cantasse le sue arie così.

Lei aveva fatto la sua parte bene, però; e lui fece bene la sua, come faceva bene tutto. Aveva quel dono prezioso. Ci mise dell’umorismo.

Poi la Contessa gli strinse la mano per ringraziarlo, e quella stretta di mano lunga, espressiva, lo fece tremare di gioia.