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capo xvi. 33

d’esser paziente in tollerare i difetti, e qualsivoglia imperfezione altrui, conciossiachè e tu abbi altresì molto, che altri dee tollerare. Se tu non sai formare te stesso quale ti vuoi, or come potresti aver gli altri a tuo senno? Noi amiamo di vedere perfetti gli altri, nè però ci emendiamo noi de’ nostri difetti.

3. Gli altri vogliam corretti rigidamente, e non vogliamo esser noi. Ci dispiacciono le larghe licenze altrui date, e poi non patiamo che ci sia negata una nostra dimanda. Vorremmo gli altri veder costretti da leggi; e noi a niun patto comportiamo d’essere più avanti legati. Così dunque si pare, quanto di rado noi facciamo al prossimo quella ragione, che a noi. Se tutti fosser perfetti, che ci rimarrebbe a patire dagli altri per amore di Dio?

4. Or però ha Dio ordinato così, acciocchè imparassimo a portar l’uno i pesi dell’altro: conciossiachè nessuno ci abbia senza difetto, nessuno senza il suo peso, nessuno a se medesimo sufficiente, nessuno abbastanza per sè prudente: ma egli è mestieri di portarci a vicenda, di con-