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capo lii. | 249 |
cati, acciocchè io meriti d’impetrare più facilmente la tua misericordia.
3. Or che dirò io, reo e pieno d’ogni vergogna? io non ho lingua da dire altre parole, che pur questa sola: Ho peccato, o Signore, ho peccato, abbimi misericordia: dammi perdono. lasciami alcun poco piangere il mio dolore, prima ch’io vada alla terra dell’ombre, e della caligine della morte coperta. Or che vuoi tu meglio da un reo, e miserabile peccatore, se non ch’egli contrito si umilj per le sue reità? Dalla vera contrizione e umiliazione del cuore, la speranza si genera del perdono, si ricompone la agitata coscienza, si ricovera la grazia perduta, si salva l’uomo dallo sdegno avvenire, e si abbracciano insieme nel santo bacio, Dio, e l’anima penitente.
4. L’umile dolor de’ peccati, t’è, o Signore, accettevole sagrificio, che di gran lunga più del profumo dell’incenso ti sa odoroso. Esso è pure quell’unguento fragrante, che tu hai voluto che fosse versato su i sacri tuoi piedi; poichè il cuor contrito e umiliato, tu nol disprezzasti giammai. quivi è luogo di ricovero dalla