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padrone; che sarebbe del povero se non fosse la festa, ch’è come una tregua assegnata da Dio a questa milizia che è la vita degli uomini sulla terra? E però dice Iddio: «Il settimo dì rimarrai dal lavoro; acciocchè il bue e l’asino tuo si riposino; e respirino il figliuolo dell’ancella tua e il forestiero». Anco alle bestie un riposo è richiesto; anco a quelle dobbiamo aver compassione; e per esercitare questo nobile sentimento della compassione, e anche per utile nostro. Anche coloro che dal lavorare hanno lucro, e par che ci godano, affaticando tutti i giorni dell’anno, lavorerebbero più stracchi, più svogliati, e men bene; guadagnerebbero meno, alla fine de’ conti. Quel ch’è continuo, uggisce e istupidisce. Siccome l’uomo, sebbene abbia necessità di mangiare, non mangia però sempre, anzi per più sanità destina a questo certe ore del dì; similmente e al lavoro e al riposo giova assegnare i suoi tempi: perchè, se fosse in arbitrio di ciascuno far festa quando a lui piace, ne seguirebbero due inconvenienti; che altri vorrebbe far festa troppo spesso, altri poi troppo rado; e che sarebbe tolta quella bellezza che viene nella società umana dall’ordine degli atti e dalla concordia degl’intendimenti. E quanto è bello che questa bellezza dell’ordine e della concordia sia fatta più splendida da un precetto di Dio; che sia santificato il riposo e purificata la gioia della memoria di fatti grandi e dal presentimento de’ beni celestiali! Che, quando le braccia si posano, le labbra cantino e ragionino parole di vita, e il consorzio degli spiriti si renda sempre più potentemente operoso!
La prima istituzione della festa fu per rammentare agli uomini che Dio ne’ primi sei giorni ha creato il cielo, la terra, e tutte le cose. Qui giorni vale età di tempo lungo, che noi non possiamo misurare; nelle quali età vennero per opera di Dio formandosi e i mondi delle