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parto da sè; o che le donne d’Israello si trovassero allora altre levatrici proprie; o che alcune almeno di quelle povere donne, o perchè povere o per scampare i loro bambini da morte, si guardassero dal chiamare le levatrici egiziane. E perchè non fosse bugia il detto delle levatrici, bastava che quel ch’esse dicevano, di talune delle donne ebree fosse vero. Or giova sapere per nostra norma, che la bugia non è lecita mai, nemmeno per salvare la vita d’un uomo: ma in certi casi non è necessario dire tutta la verità. Nei pericoli nostri e dei nostri fratelli, quando col dire il vero si risica di far danno a loro e a noi, raccomandiamoci a Dio; ed egli c’insegnerà i modi di fuggire il pericolo, e di rendere onore alla verità; perchè Dio è verità.
Notate qui un’altra cosa. Se queste due donne, nell’intendere il truce comando, avessero con atti d’orrore e con parole mostrato di non volergli ubbidire, avrebbero non solamente nociuto a sè medesime e alle proprie famiglie, ma fatto male alle stesse donne e a’ figliuoli del popolo d’Israello: perchè quel re disumano, fatto accorto dall’animo delle pie levatrici e irritato dalla resistenza loro, trovava modi di nuocere più certi e più violenti. Così per qualche tempo almeno la rabbia di lui stette addormentata, come la serpe nel verno. Non sempre bisognava dire in palese ai prepotenti: «Quel che voi comandate io non lo farò»; ch’anzi giova e bisogna talora tacere, e non fare il male ch’essi vogliono. E beato il mondo se tutti i chiamati a fare il male se ne astenessero senza parole!
Lo storico sacro ci conservò, come degni di cara memoria i nomi delle due levatrici buone: l’una Sefora, l’altra Fua.