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Viveva Giacobbe in campagna, e Giuseppe, il suo caro e affettuoso figliuolo, in città; ma non è da credere che questi non andasse di tanto in tanto a vedere il padre; e tanto più volentieri ci andasse, che i ricchi e i grandi a quel tempo amavano la campagna più d’adesso, e sapevano, e però godevano, conversare con gli uomini semplici; e erano così meglio amati, e però più potenti. A Giuseppe poi la campagna era cara, siccome il dolce nido della sua giovinezza, e serena memoria dei suoi trastulli innocenti. E quando vedeva o le gregge pascere per la verdura, o una valletta restringersi e come fuggire tra due belle colline, o i raggi del sole scintillare nell’acque correnti, come se entrassero e uscissero saltellando da quelle, gli venivano in mente tante cose, che non si ricordava più nè della corte nè dei cortigiani: e gli pareva essere allora liberato di carcere, e respirare aria pura. Co’ fratelli usava parole e modi di fratello, nè si ricordava ch’egli fosse l’offeso da loro già, nè fosse signor grande adesso. E s’asteneva eziandio dal mostrarsi troppo tenero e troppo umile verso di loro, perchè questo stesso poteva adombrarli e richiamare il passato amaramente. Non è vero quello che dicono: «Perdonare, sì; ma dimenticarsi dell’offesa, no». Chi non sa dimenticarsi, non sa perdonare. E il vero pentimento, l’affetto vero, fanno questo miracolo, che l’offensore e l’offeso diventano come uomini nuovi, e si vogliono in certo modo più bene di prima. Giacobbe, il povero padre,